sabato 7 febbraio 2015

Un Big Mac è per sempre


  Quanti di voi conoscono il Big Mac? Probabilmente il 100% di chi sta leggendo quest’articolo ne ha mangiato almeno uno nel corso della propria vita e una buona fetta di questi – che possiamo definire come qualunque persona dotata di coscienza - si è sentito poi in soggezione difronte al panino considerato uno dei simboli del capitalismo, della globalizzazione e dell’obesità americana. Pertanto, parlare del Big Mac non è sicuramente una cosa facile. Fatto sta che quando nel lontano 1968, il franchiser di Pittsbugh Jim Deligatti inventò questo panino non avrebbe mai immaginato che nel giro di qualche anno sarebbe diventato una delle cash cow di Mc Donald’s, commercializzato su base planetaria come prodotto di punta del colosso statunitense. 
Risulta comunque molto difficile riuscire a scindere il successo del Big Mac da quello del Mc Donald’s stesso. Efficienza, rapidità, familiarità e standardizzazione dell’esperienza, ovvero riuscire a dare al cliente la stessa esperienza in ogni Mc Donald’s del mondo, sono gli elementi su cui si basa il modello del Mc, i quali, mescolandosi chimicamente, hanno creato l’ecosistema perfetto all’interno del quale inserire un prodotto altrettanto perfetto. Il Big Mac in questo caso ha calzato a pennello. Un esempio lampante della notorietà e diffusione del prodotto è sicuramente il Big Mac Index creato dall’Economist, utilizzato in molti manuali per spiegare la teoria macroeconomica della parità dei poteri d’acquisto[1]
Fonte: The Economist

Evitando di addentrarci in teorie economiche un po’ troppo tecniche, in questo breve articolo è sicuramente interessante richiamare due strategie di advertising e comunicazione temporalmente molto distanti tra loro, ma entrambe di successo. La prima, totalmente sconosciuta al pubblico italiano, consiste nel Two all-beef patties slogan, lanciato negli anni ’70 negli Stati Uniti e successivamente in altri paesi anglofoni. In questa campagna, il gingle mandato in onda recitava molto velocemente tutti gli ingredienti del panino - Two all-beef patties, special sauce, lettuce, cheese, pickles, onions – on a sesame seed bun[2]. Risultato: ad oggi molti consumatori americani e non, conoscono a memoria gli ingredienti del Big Mac. Contestualmente veniva indetto un concorso per cui i clienti che riuscivano a ripetere il gingle in un tempo determinato (3-4 secondi) ottenevano un panino gratis. Emblema del successo di questa operazione fu il fatto che dopo la prima messa in onda della pubblicità i Mc Donald’s di New York si trovarono nel giro di qualche giorno completamente a corto di Big Mac. 
Il secondo esempio di comunicazione efficiente è invece recentissimo. Nelle ultime settimane sono apparsi dei nuovi cartelloni pubblicitari di alcuni prodotti targati Mc Donald’s, tra cui il Big Mac. Rispetto alle solite promozioni, queste affissioni ritraggono i prodotti (Big Mac, Mc Nuggets e patatine) disegnati a colori in maniera stilizzata, su uno sfondo completamente bianco e senza alcun tipo di scritta. La scelta di questo stile minimal punta probabilmente ad un duplice obiettivo. In primis a catturare l’attenzione; in una società in cui il consumatore è sovra stimolato dalle pubblicità, rendersi “leggero” ed essenziale è un’arma in più per attirare lo sguardo del consumatore. Secondo, dimostrare la “forza” e familiarità dei prodotti; una volta catturato lo sguardo, nonostante la semplicità dei disegni il messaggio che passa è uno: “non fare finta di non capire chi sono, tu mi conosci benissimo, talmente tanto bene che non devo neanche scrivertelo”.

Per concludere aggiungo un dato fornito dal sito del Mc Donald’s: impilando 3.374 Big Mac uno sopra l’altro si eguaglierebbe l’altezza della Tour Eiffel. Ovviamente il dato in se è totalmente inutile, ma mi ha dato lo spunto per immaginare un hamburger tower sfidare per longevità nel corso dei prossimi secoli la torre simbolo di Parigi; tutto ciò sarebbe possibile grazie alla capacità dimostrata negli anni passati dal famoso hamburger di persistere sia agli attacchi dei suoi detrattori – nonostante le critiche, il Big Mac è sempre lì – che a quelli dei microbi e dei batteri – vedi un recente articolo di Internazionale[3], o quello del Telegraph di qualche anno fa[4].


Eric Martignon




[1] Chi ha sostenuto un esame di macroeconomia dovrebbe già conoscerlo: introdotto nel 1986, l’indice si basa sulla teoria della parità dei poteri d’acquisto (in inglese PPP aka purchasing-power parity), secondo cui nel lungo periodo i tassi di cambio tenderebbero a convergere verso un valore che eguagli il prezzo di un medesimo paniere standard di beni. Per esempio, a gennaio 2015 in America il prezzo medio del Big Mac è stato di 4,79$ mentre in Cina per lo stesso panino bastava pagare 2,77$. In questo caso l’indice indica che il yuan era sottovalutato del 42%. Link al sito ufficiale: http://www.economist.com/content/big-mac-index?fsrc=PS/cemea/ggl/gen/big-mac-index
[3] http://www.internazionale.it/notizie/2015/02/05/webcam-sull-ultimo-hamburger-d-islanda
[4]  http://www.telegraph.co.uk/news/worldnews/northamerica/usa/10015137/McDonalds-hamburger-looks-the-same-after-14-years.html

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